‘Nchiambara cosentina: la frittata che non ti aspetti

‘Nchiambara cosentina

Un viaggio nel gusto e nella memoria calabrese, tra cipolle di Tropea, farine antiche e gesti che raccontano la storia

In Calabria, ogni piatto è un racconto. Alcuni sussurrano storie d’infanzia, altri cantano i profumi del mare. Ma ce ne sono alcuni che, più di altri, sembrano essere nati non solo per saziare, ma per trasmettere: gesti, economie, necessità, poesia. È il caso della ‘nchiambara cosentina, una frittata senza uova – sì, senza uova – che sorprende per la sua semplicità quanto per il suo sapore profondo, rustico, sincero.

Siamo nella Calabria del nord, tra le colline della provincia di Cosenza, dove la cucina è ancora scandita dal ritmo delle stagioni, e dove nulla si spreca. In questo contesto nasce la 'nchiambara, piatto povero nella forma, ma ricco di significato. È il frutto di un tempo in cui le uova erano un lusso, e la farina – magari di grano tenero o di mais – si usava per legare ciò che la terra offriva in abbondanza: le cipolle, e più precisamente quelle rosse di Tropea, dolci, aromatiche, tenere.

Una frittata senza uova? Sì, ma con identità

Il nome stesso, ‘nchiambara, deriva dal verbo dialettale ‘nchiamare, che significa “mescolare, impastare, amalgamare qualcosa in modo rozzo”. È già tutto lì: una padella, cipolle tagliate sottili, farina, acqua, sale, pepe e, in alcune versioni, un tocco di menta o peperoncino. Il composto viene versato in padella calda con un filo d’olio d’oliva e lasciato cuocere finché non si forma una crosticina croccante che contrasta con la morbidezza interna.

Il risultato? Una pietanza che si colloca a metà strada tra frittata e focaccia, tra rito e recupero, tra memoria contadina e cucina contemporanea. Un piatto che si mangia caldo o freddo, a spicchi, a morsi, in piedi o seduti, spesso durante le merende nei campi o come “comfort food” domestico.

Un simbolo della Calabria gastronomica

Nel vasto panorama del turismo enogastronomico in Calabria, la ‘nchiambara rappresenta qualcosa di più di una ricetta: è un documento vivente. È la testimonianza di un Sud che ha saputo trasformare la scarsità in creatività, che ha fatto della semplicità una virtù, e che oggi riscopre – proprio attraverso questi piatti – un legame profondo con la propria identità.

Non è un caso che negli ultimi anni la 'nchiambara sia tornata sulle tavole di chi promuove la filiera corta, le farine integrali, i prodotti a km zero. Ristoranti agrituristici, bistrot e cucine di casa la propongono con nuove varianti: con cipolla caramellata, con erbe spontanee, con farina di ceci o di segale. Ma il cuore resta lo stesso: pochi ingredienti, tanto sapore, nessun artificio.

Dove scoprirla, come gustarla

Visitare Cosenza e i suoi dintorni è anche un’occasione per scoprire la ‘nchiambara direttamente nei luoghi dove è nata. Sagre, feste di paese e trattorie tipiche la propongono nella versione più autentica, magari accompagnata da un bicchiere di vino rosso calabrese e da una fetta di pane cotto a legna.

E per i viaggiatori curiosi, questa frittata può diventare anche esperienza didattica: nei borghi del Pollino o della Presila, alcune realtà offrono laboratori di cucina tradizionale in cui è possibile imparare a prepararla secondo i metodi delle nonne, tra racconti, profumi e gesti che hanno attraversato le generazioni.

La Calabria da gustare (e capire)

In un mondo in cui la cucina si fa spesso spettacolo, la 'nchiambara è un invito alla lentezza, alla memoria, al rispetto per ciò che abbiamo. È la Calabria che non si vede nei cataloghi, ma che si scopre camminando tra le case di pietra, parlando con chi resta, raccogliendo i frammenti di un’identità che non ha bisogno di eccessi per essere straordinaria.

E forse è proprio questo il vero lusso del viaggiare: incontrare un popolo attraverso il suo cibo, e portarne il ricordo non in una fotografia, ma nel palato e nel cuore.

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